Tavolo tecnico Ambiente e Territorio

Facciamo il punto sull'ex discarica Zita

1         Premessa

Tra i primi argomenti che il neonato Tavolo Tecnico Ambiente ha affrontato a valle del suo insediamento dello scorso gennaio 2023, c’è stato quello dell’ex Discarica Zita. In particolare, abbiamo ripercorso i passi più salienti della sua storia, valutando l’attuale stato dell’area e discutendo assieme di quelli che potrebbero essere i passi e gli sviluppi futuri che potrebbero interessare tale area, anche in relazione ad una potenziale messa in sicurezza/bonifica della stessa.

2         La storia della Discarica Zita

Quando a Rivolta si parla di Località Zita, il pensiero corre subito a uno dei punti di accesso privilegiati al fiume Adda e al suo parco, meta di passeggiate a piedi, in bicicletta o a cavallo. I Rivoltani meno giovani ricordano però che quest’area, di indubbia valenza ambientale e ricreativa, è stata sede in passato anche di una discarica di rifiuti solidi urbani: una volta aggirato il cancello posto al termine della strada privata che arriva dal paese, il percorso sterrato corre infatti su più strati di rifiuti, abbandonati nell’area ormai da oltre 50 anni. Difficile percepirlo per chi non conosce la storia locale, ma la morfologia irregolare dell’area, la vegetazione a macchia di leopardo ed anche qualche traccia di rifiuto (si vedano le fotografie fatte pochi mesi fa), riportano ad una vicenda che viene da lontano.

Negli anni ’60, in pieno boom economico, il Comune di Milano, attraverso la propria Azienda municipalizzata incaricata del servizio immondizie (ai tempi si chiamava SID “Servizio Immondizie Domestiche”, diventata AMNU “Azienda Municipale Nettezza Urbana”, poi ancora AMSA “Azienda Municipale Servizi Ambientali”, fino al 2008, anno in cui AMSA è stata incorporata nel gruppo A2A), ricercava aree vicine a Milano nelle quali stoccare rifiuti urbani ed era stata individuata come adatta allo scopo proprio l’area in questione. L’immobiliare Zita, allora proprietaria del terreno, aveva interesse a realizzare una colmata agricola (con i rifiuti) e così i due soggetti siglarono una convenzione (con probabile interesse economico), che il Comune giocoforza dovette ratificare.

A posteriori è sempre semplice giudicare scelte effettuate in un contesto diverso dall’attuale, ma anche 60 anni fa era prevedibile che una discarica posta in un’area a chiaro rischio idrologico e con la falda a diretto contatto con il corpo dei rifiuti, avrebbe potuto recare danno alla collettività ed all’ambiente, nel presente e nel futuro. A tal proposito, vale la pena ricordare che a quei tempi la raccolta era indifferenziata: tutto ciò che non serviva più (umido, vetro, plastica, ma anche batterie, lampadine, oli esausti, farmaci scaduti), si conferiva in un sacco nero da gettare in un cassonetto. Il camion della spazzatura portava poi tutto in discarica, senza regolamentazione e controllo alcuni.

L’attività di discarica durò una decina d’anni, fino a che o per sopraggiunta capienza limite o perché gli impatti negativi erano sempre più evidenti, si decise di abbandonarla. Usiamo il verbo abbandonare perché AMNU intervenne sì – al termine del periodo di esercizio – per porre rimedio a più situazioni contingenti di pericolo, ma in realtà il sito venne praticamente abbandonato, accessibile a chiunque, senza prevedere l’attuazione di azioni sistematiche di messa in sicurezza dell’area. E quando parliamo di area, intendiamo un appezzamento esteso, a forma allungata irregolare, lungo fino a 1.300m e largo fino a 250m.

Chi doveva provvedere alla messa in sicurezza/bonifica della zona? Sia SID (già diventata AMNU), come conferitore dei rifiuti, sia Immobiliare Zita, in qualità di proprietario dell’area, avrebbero potuto intervenire, rendendo almeno inaccessibile il sito di proprietà. Data l’immobilità di questi soggetti, si attivò invece il Comune, che diede corso ad indagini di campo, dagli esiti allarmanti (presenza di percolato, biogas, strati oleosi, rifiuti sparsi, anche ospedalieri, falda contaminata, etc.) ed ottenne nel 1990 l’assegnazione da parte della Regione di un contributo a fondo perduto di circa 1,5 miliardi di Lire, finalizzato al recupero ambientale ed alla messa in sicurezza della discarica. L’importo era insufficiente per poter realizzare un intervento completo di messa in sicurezza dell’area, ma comunque adeguato a dare corso ad una serie di interventi utili a mitigare il problema, in accordo ad un Progetto presentato da tecnici incaricati dal Comune.

Purtroppo, però, a valle di una presa di posizione perlomeno opinabile da parte del WWF di Crema e di alcuni professori universitari, oltre che di una serie di rimpalli politici tra Regione Lombardia e Provincia di Cremona, la Giunta Provinciale di Cremona espresse parere negativo al progetto e di conseguenza il finanziamento non venne erogato.

La “problematica Zita” venne nuovamente dimenticata fino al 2015, quando la tematica si riaffacciò sulla scena amministrativa rivoltana ed il consiglio comunale, a seguito di interpellanza del gruppo Rivolta delle Idee, diede mandato unanime al sindaco a condurre iniziative in ogni sede in merito alla discarica, a partire dall’esecuzione urgente di indagini per definire il quadro ambientale dell’area, azioni ad oggi non ancora eseguite.

3         La Discarica oggi: cosa fare?

Quindi che fare oggi? Lasciare che la natura continui ad operare in sostituzione dell’uomo oppure intervenire? Se si interviene, come intervenire? Se si interviene, a chi toccano gli oneri della messa in sicurezza/bonifica (si parla di milioni di euro)? Al pubblico, come spesso succede? Al soggetto che ha conferito rifiuti, oggi ormai confluito nel gruppo A2A? O al proprietario dell’area? È applicabile il principio del “chi inquina, paga”?

Quello della responsabilità e del “a chi tocca intervenire?”, a partire dalle indagini integrative da eseguire nell’area (che si presuppongono parecchio onerose), è un aspetto legale che esula dalle competenze del nostro Tavolo Tecnico e di conseguenza lasciamo che le dovute azioni vengano portate avanti nei tavoli competenti.

Dal punto di vista tecnico, auspichiamo che si possano progettare e quindi eseguire quanto prima le attività di indagine necessarie per aggiornare i risultati degli studi condotti nei primi anni ’90, al fine di verificare almeno:

  • il grado di mineralizzazione dei rifiuti;
  • la presenza, per quanto improbabile, di biogas o di vapori ascrivibili ai rifiuti stoccati;
  • se la falda, internamente, ma soprattutto esternamente al corpo della discarica, sia ancora contaminata, a causa del percolato di discarica;
  • se siano presenti ancora rifiuti liberi (soprattutto i famosi rifiuti oleosi citati in passato), anche a causa delle numerose esondazioni che si sono verificate nel tempo nell’area di discarica.

Nel caso in cui gli esiti di tali indagini siano positivi, è ragionevole pensare che non sia necessario eseguire alcun intervento di bonifica/messa in sicurezza del sito (al netto di possibili risagomature localizzate dei rifiuti o di realizzazione di opere di protezione spondale); eventualmente si può prevedere l’esecuzione di periodiche attività di monitoraggio delle acque di falda, per verificare l’effettiva sussistenza dell’assenza di contaminazione delle acque.

Diversa sarebbe la situazione in cui le indagini diano esito negativo, con contaminazione dei suoli e/o delle acque di falda, anche in aree a valle della discarica. In questo caso, applicando i dettami del D.Lgs. 152/06 e s.m.i., sarà obbligatorio intervenire, previa definizione del soggetto/i a cui toccherà l’onere degli interventi.

Che interventi andrebbero eseguiti? Dipende dagli esiti delle indagini, da quanto è estesa e profonda la contaminazione, dal grado di contaminazione, dall’interessamento o meno delle acque di falda, dalla presenza di un effettivo rischio per la salute umana (biogas, vapori, etc.), da una seria analisi costi/benefici degli interventi da realizzare. In prima istanza, è più semplice dire cosa non fare piuttosto che cosa fare; in particolare ritengo che, dal punto di vista tecnico-economico, sono da escludere:

  • la rimozione dell’intero ammasso dei rifiuti;
  • l’impermeabilizzazione del fondo della discarica;
  • il Dewatering del corpo dei rifiuti (intesa come aspirazione di acqua/percolato presente nel corpo della discarica).

E poi, con parole semplici e senza spingerci troppo nel tecnico, si potrebbe ipotizzare l’esecuzione di questi interventi:

  • se le acque di falda a valle del sito fossero contaminate, andrebbero intercettate, ad esempio con pozzi barriera;
  • ove sono presenti rifiuti liberi, vanno rimossi ed adeguatamente trattati e/o smaltiti off-site;
  • se ci fossero vapori liberi o concentrazioni pericolose di contaminanti in superficie (Piombo, Mercurio, Arsenico, PCB, etc.), andrebbe interrotto il percorso di migrazione/contatto in superficie, anche ripristinando/realizzando la copertura superficiale del corpo della discarica;
  • se fossero ancora in corso processi di biodegradazione, sarebbe possibile incentivarli con tecniche di bonifica ben note in letteratura (areazione in situ, etc.).

Al netto di quanto detto in precedenza, la sostanza delle cose però è una sola: si possono pensare interventi più o meno efficaci e definitivi, presumere diversi scenari futuri per l’area, ma la messa in sicurezza/bonifica dell’area, ove necessaria, potrà realizzarsi innanzitutto sulla base dei costi stimati di intervento, ma anche e soprattutto se convergeranno le volontà di tutti i soggetti, pubblici e privati, coinvolti nella questione.

 

Figura 1 – Ubicazione della Discarica

Figura 2 – La Discarica nel 1990: fotografie delle indagini ambientali

Alcune immagini dello stato attuale del sito